Rafforzata la penalty protection tramite adeguata documentazione sul transfer pricing
Transfer pricing, pubblicato dal MEF il decreto attuativo.
Il 14 maggio 2018 è stato emanato il Decreto Ministeriale del Ministro dell’Economia e delle Finanze (nel prosiego D.M. o Decreto), recante le linee guida in materia di prezzi di trasferimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 23 maggio 2018.
Nel dettaglio il Decreto, in coerenza con l’articolo 9 del modello OCSE, rivede una serie di elementi in merito alla disciplina dei prezzi di trasferimento come da articolo 110, comma 7, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
Fra i punti salienti del D.M. vi è una rivisitazione della gerarchia dei metodi di trasferimento sinora applicata, che riconosce i metodi tradizionali (confronto di prezzo, prezzo di rivendita, costo maggiorato) come metodi preferenziali rispetto a quelli reddituali (metodo del margine netto della transazione e ripartizione dei profitti) e individua il CUP come metodo preferito in assoluto.
Altra modifica di rilievo è il limite posto ai verificatori nel poter rettificare i risultati delle transazioni infragruppo, solo qualora essi non ricadano nel range dell’intervallo riveniente dalla benchmark analysis.
Infine vi è una breve menzione alla documentazione in materia di prezzi di trasferimento, la quale può esser considerata idonea, anche se, pur rispettando il contenuto richiesto dalla normativa, la stessa presenti delle omissioni o inesattezze parziali che non pregiudichino l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria.
Andando nel dettaglio del provvedimento, in pieno accordo con le linee guida OCSE pubblicate nel luglio 2017, il Decreto delibera nell’articolo 4 che la valorizzazione di un’operazione controllata in base al principio di libera concorrenza è determinata applicando il metodo più appropriato alle circostanze del caso. Facendo riferimento ai metodi tradizionali e reddituali precedentemente citati si dovrà tener conto dei punti di forza e debolezza di ciascun metodo, dell’adeguatezza del metodo in considerazione della natura e delle caratteristiche dell’operazione controllata, della disponibilità di informazioni affidabili e del grado di comparabilità tra l’operazione controllata e l’operazione non controllata. Inoltre, si stabilisce che in presenza di una potenziale applicazione di un metodo tradizionale e di uno reddituale, secondo il D.M. sarebbe preferibile (ma non obbligatorio, come nella bozza originaria) adottare il metodo tradizionale. Per di più il metodo del confronto del prezzo dovrà essere preferito solo qualora vi sia lo stesso grado di affidabilità rispetto agli altri metodi. Tale principio è perfettamente in linea con la giurisprudenza, ad esempio la sentenza del C.T. Prov. di Milano n. 6248 del 17 ottobre 2017, in cui si è più volte indicato il CUP come metodologia che, sebbene di difficile e concreta applicazione, è teoricamente il criterio da utilizzare in via prioritaria.
Ancor più interessante è il comma 6 dell’articolo 4 del D.M. che determina che, qualora un contribuente abbia utilizzato un metodo che rispetta quanto su detto al fine di testare un’operazione controllata in base al principio di libera concorrenza, la verifica da parte dell’amministrazione finanziaria – se le condizioni delle operazioni controllate sono coerenti con il principio di libera concorrenza – si deve basare sullo stesso metodo applicato dal contribuente. Tale principio si fonda sull’idea che il contribuente, nel fissare i prezzi di trasferimento, abbia precedentemente svolto un’analisi di comparabilità adeguata, con conseguente approfondimento della sostanza economica dell’operazione. Pertanto qualora un’impresa abbia utilizzato un metodo che rispetti le disposizioni dei commi da 1 a 5 dell’articolo 4, ovverosia – in breve – determinazione del metodo più appropriato alle circostanze del caso con relativa appropriata descrizione dei criteri di selezione dello stesso e rispetto della gerarchia dei metodi sopra menzionati, tale metodologia non può più esser messa in discussione dall’amministrazione che dovrà cosi’ attenersi al metodo selezionato dal contribuente.
Nell’articolo 6 del Decreto, si specifica espressamente che il principio di libera concorrenza è rispettato se il prezzo o margine della transazione controllata è nell’intervallo dei valori delle transazioni indipendenti (d’ora in poi anche range). Un’operazione controllata, o un insieme di operazioni controllate aggregate, si considerano realizzati in conformità al principio di libera concorrenza, qualora il relativo indicatore finanziario sia compreso nell’intervallo suddetto. Solo qualora l’indicatore finanziario di un’operazione controllata, o di un insieme di operazioni aggregate, non rientri nell’intervallo di libera concorrenza, l’amministrazione finanziaria potrà effettuare una rettifica, al fine di riportare il predetto indicatore all’interno dell’intervallo. Ci si auspica in tal senso un chiarimento in merito alla prassi di fatto sino ad ora applicata dall’Agenzia delle Entrate, che ha visto ricondurre la ripresa in aumento fino a valore della mediana, posizione a nostro parere poco sostenibile, considerando che, stando al tenore letterale del D.M. in esame, sarebbe sufficiente riportare l’indicatore all’interno del range (i.e. anche al livello più basso dello stesso).
Tra le novità introdotte dal Decreto, vi è il calcolo semplificato previsto per i servizi a basso valore aggiunto. L’articolo 7, difatti, disciplina un approccio semplificato per i suddetti servizi, per i quali è consentita una valorizzazione derivante dalla somma dei costi diretti e indiretti connessi alla prestazione del servizio con un mark-up del 5%, purché adeguatamente supportato da documentazione specifica (i.e. senza piu’ la necessità di una benchmark ad hoc).
Infine, nell’articolo 8 del D.M., è presente una disposizione che consente una maggiore certezza in sede di verifica circa l’idoneità della documentazione richiesta ai fini della penalty protection (ricordiamo che le sanzioni in tema transfer pricing vanno dal 90% al 180% della maggiore imposta accertata). Si stabilisce, infatti, che la documentazione può esser considerata idonea (proteggendo così il contribuente dalle sanzioni) nel caso in cui presenti agli organi di controllo le informazioni necessarie per una corretta analisi dei prezzi di trasferimento, a prescindere dalla scelta del metodo di valorizzazione delle operazioni controllate o dalla selezione dei soggetti o delle operazioni comparabili. Qualora vi siano delle omissioni o inesattezze che non compromettano l’analisi da parte degli organi di controllo, la documentazione non potrà dunque essere invalidata preservando il contribuente dalle elevate sanzioni.
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